La chiesa di San Martino: “I Buonomini sono ridotti al lumicino” Stampa

Nella Firenze del 1300-1400, l’operosità dei mercanti rappresentava l’anima e soprattutto la forza della città; una vera e propria esplosione economica che aveva portato i notabili e, bada bene, non i nobili ad arricchirsi talmente tanto da poter non solo diventare i più importanti banchieri europei, ma addirittura a prestare i loro fiorini d’oro (moneta all’epoca considerata come l’euro per forza di acquisto) persino a papi e re; a volte, a dire il vero, con esiti non proprio favorevoli, visto per esempio il prestito fatto a re Edoardo III da parte della famiglia dei Bardi e dei Cerchi  per sostenere la guerra dei Cento Anni contro la Francia, somma che si aggirava intorno alla gigantesca cifra di 1.000.000 di fiorini d’oro, mai più restituiti!

 


Guadagni grandiosi e rovinose cadute facevano parte, quindi, di questo nuovo sistema economico che tanto ha influenzato l’economia moderna e contemporanea: basti pensare all’utilizzo in grande scala fatta dai mercanti fiorentini della lettera di cambio, progenitrice dell’assegno e della cambiale.

Oltre a questo, ad influire direttamente sulla fortuna delle ricchezze dei mercanti era ovviamente la politica: a Firenze, infatti, si usava un particolare metodo per sconfiggere il partito opposto, l’esilio e la successiva confisca dei beni, oppure, più subdolamente, l’applicazione di leggi che perseguivano finanziariamente le famiglie avversarie come avvenne sistematicamente durante la Signoria dei Medici; la fortuna economica era legata ad un filo e molte ricche e potenti famiglie si ritrovavano spesso a perdere tutto il loro capitale e rimanere a tasche vuote. Nella città Gigliata i mercanti che facevano bancarotta ricevevano inoltre anche una punizione pubblica molto particolare.

La punizione consisteva nell'incatenare i condannati e una volta calate le braghe ne venivano battute le natiche ripetutamente sulla detta pietra (la Pietra dello Scandalo che si trova ancora oggi nel mezzo della Loggia del Mercato Nuovo). Il Bigazzi così racconta questa curiosa storia:

 

Nel mezzo delle Logge sul pavimento è un tondo di marmo con liste di bardiglio a guisa di ruota, in memoria del Carroccio tenutovi ai tempi della Repubblica; e dimesso l’uso del carroccio, fu quella pietra convertita ad altro uso, cioè su di essa tacevasi a vista del pubblico battere tre volte le natiche ai mercanti falliti, come lo dimostravano le parole dello statuto:

Ostendendo putenda, et percutiendo lapidem culo nudo.

Ciò perché in città mercantile come Firenze specialmente, si avesse in orrore il fallimento.

 

Da questa usanza umiliante sarebbero nati dei modi di dire come essere con il culo a terra e l'espressione sculo inteso come sfortuna.

Riprendendo le puntuali e significative parole del Bigazzi “si avesse in orrore il fallimento  iniziamo a spiegare il lavoro svolto dalla chiesa di San Martino o meglio ancora dalla sua Congregazione parrocchiale detta dei Buonuomini.

Tutto nasce dall’idea dell’indomabile fra’ Antonino Pierozzi, priore del convento di San Marco, che, essendo acuto osservatore degli accadimenti del proprio tempo, si era accorto di un’urgenza sociale da alleviare; così riporta Piero Bargellini  nel suo libro “I Buonomini di San Martino”:

 

 Al tempo di fra’ Antonino dei consigli, oltre alla categoria dei soliti poveri accattoni, che sostavano sul sacrato delle chiese o bussavano alle porte dei conventi, esisteva una speciale categoria, che con acutezza psicologica fra’ Antonino chiamava i “poveri vergognosi”.

Il cieco nato, lo storpio congenito, l’ammalato cronico, non si vergognavano  della loro disgrazia; al contrario, molto spesso la ostentavano e qualche volta la esageravano.

Verso questi poveri doveva essere rivolta la carità di tutti i cristiani, in modo particolare di quegli ordini religiosi, che al termine di monaco avevano preferito il termine di frate.

 

La domanda che ci  sorge spontaneamente è, chi erano i “poveri vergognosi” a cui il frate avrebbe rivolto il proprio aiuto mediante la creazione della congregazione dei “ Buonomini”?

Il Bargellini ne dà un’acuta descrizione:

 

 Erano coloro che nati di buona famiglia si erano trovati alla rovina dell’avuta ricchezza; coloro che dopo aver vissuto nell’agiatezza, ora stentavano nell’indigenza ; coloro, che dopo essere stati fortunati nei commerci o grandi negli affari pubblici, erano stati travolti dalla disgrazia.

Poveri, dunque, sconfitti, umiliati, delusi, che si vergognavano a stendere la mano, e che quasi quasi consideravano una colpa oppure una gloria la loro indigenza.

 

Quindi fra’ Antonino voleva prendersi cura dei ricchi caduti in disgrazia, i quali, per orgoglio, per la vergogna sociale del fallimento, non chiedevano aiuto a nessuno, covando rancori che la maggior parte delle volte sfociavano in violenze, in omicidi. Questo aiuto doveva essere portato con la massima discrezione, cercando di non offendere il loro orgoglio ferito, rendendo l’aiuto privato, segreto, per non rendere ancor più amara la loro triste situazione.

Era la primavera del 1442 quando il priore del convento di San Marco riunì nella sua celletta 12 giovani uomini che non appartenevano alla vecchia nobiltà di armi, la loro estrazione era varia, scelta studiata da fra’ Antonino, composta da quattro membri di famiglie notabili e borghesi (borghesia mercantile), un professionista liberale, sei artigiani e un operaio non iscritto a nessuna Arte. Il motivo che aveva portato Antonino dei consigli (così soprannominato perché molte persone si rivolgevano a lui per avere consigli, specialmente sulla condotta morale da tenersi lungo la strada della vita) a scegliere i 12 membri della nuova congregazione tra ceti diversi, si riassumeva in queste poche parole: …la carità  non conosce distinzione di classe.

Così nacque in quel giorno di primavera la Congregazione dei Buonomini, incentrata alla carità rivolta ai “poveri vergognosi” (ricchi decaduti) e non solo, come poi avremo modo di verificare in seguito.

 


 

Fra’ Antonino scelse come sede della Confraternita la chiesetta di San Martino, il santo per eccellenza dei poveri, colui che divise il proprio mantello con un mendicate trovato quasi completamente nudo lungo la strada che stava percorrendo. Questa chiesa si trova nel centro città vicino alla vera casa di Dante Alighieri che si doveva trovare all’incirca accanto alla Torre della Castagna, lungo l’attuale via dei Magazzini. L’edificio fu costruito nel Quattrocento e consacrato dallo stesso priore di San Marco, fra’ Antonino. La chiesa di San Martino, passata in mano alla Compagnia dei Buonuomini, fu  ristrutturata in stile rinascimentale ad un'unica navata già nel 1479.

All’interno della chiesa si trovano numerose opere d’arte di notevole interesse:

 

1.   Un ciclo di affreschi che rappresentano Le sette opere di Misericordia di cui abbiamo attribuzioni molto diverse; ci sono infatti studiosi che in un primo tempo avevano attribuito gli affreschi alla bottega del Ghirlandaio, subito dopo altri esperti li attribuivano al Botticelli ed infine sono stati ragionevolmente attribuiti a Francesco d’Antonio del Chierico, un miniaturista che tra l’altro aveva la bottega nei pressi della Badia Fiorentina, il grande complesso monastico che abbracciava tutta la piazza di San Martino e di cui facevano parte anche gli edifici che ospiteranno nel Quattrocento, l’oratorio della Compagnia dei Buonomini. Questo ciclo di affreschi molto belli descrive dettagliatamente l’attività svolta dalla Compagnia ed un affascinante spaccato della vita quotidiana del Quattrocento. Nella prima lunetta a destra viene rappresentata l’opera misericordiosa di “Dare da magiare agli affamati e da bere agli assetati”, in cui è possibile osservare la distribuzione fatta dagli stessi Buonuomini, riconoscibili dai loro vestiti di stoffa rossa e nera, di pane e fiasche di vino: un tuffo a piè pari nel passato, dove suppellettili domestiche, costumi, usanze del tempo, diventano l’architrave portante di questo ciclo di affreschi, rappresentazioni iconografiche di grandissimo valore storico e sociologico. La seconda lunetta, “Vestire gl’ignudi”,  riproduce l’idea stessa della Compagnia che aveva scelto come santo proprio San Martino, colui che aveva rivestito il mendicante. In questa scena i Buonomini donano vestiti e stoffe a donne, vecchi e bambini. Nella terza lunetta, “Visitare gli infermi”, l’artista sottilmente ci fa notare la condizione di famiglia ricca decaduta, infatti, se osservate bene, l’affresco mostra un mobilio e utensili di uso domestico (brocca e calice di vetro) di una camera di benestanti e la figura di una serva che prende in dono da un membro della Compagnia un pollo e un fiasco di vino per la propria padrona che ha appena partorito. Inoltre i Buonomini portano fasce per vestire il neonato. Non descriverò oltre il ciclo di affreschi per non rendere la vostra voglia di scoprire arida, ma posso dirvi che le altre lunette come il “Seppellimento dei morti e Dotare le fanciulle povere, sono di una espressività descrittiva sconcertante.

 

 
 
 

 

 

2.      Un busto scolpito nel legno di “San Antonino” del Verrocchio, posta nella lunetta sopra l’altare.

 

 


 

3.    Una “Madonna con Gesù bambino e San Giovanninodi Niccolò Soggi, discepolo del Perugino; il Vasari nelle “Vite” dice a proposito di questo quadro:

Fece Niccolò dopo questo, in un altro quadro alto tre quarti di braccio...una  Nostra Donna a olio col Figliuolo in collo, San Giovanni piccolo fanciullo et alcuni paesi, tanto bene e con tanta diligenza, che ogni cosa pare miniato e non dipinto; il quale quadro, che fu delle migliori cose che mai facesse Niccolò...

 

 

 

4.     Una “Madonna con Bambino“ dei Della Robbia di inizio ‘500.

 


 

5.     Una “Madonna e Santi” di Niccolò Gerini, ottimo artista, seguace della scuola giottesca. Tra le sue numerose opere vi sono: la decorazione della sacrestia della basilica di Santa Croce a Firenze con Scene della vita di Cristo (1380), mentre nel 1386 affrescò la Loggia del Bigallo.

6.      Nella facciata della chiesa, nella lunetta sopra il portone d’ingresso, vi è un affresco, con la figura di San Antonino, vescovo di Firenze e creatore della Compagnia, opera di un ignoto pittore.

7.     A lato della facciata della chiesa, si trova un affresco che rappresenta “San Martino Vescovo di Tours che fa l’elemosina ai poveri” dipinto da Cosimo Ulivelli, pittore di scuola barocca, allievo del Volterrano, lavorò principalmente nella città fiorentina, ne sono una prova gli affreschi che si trovano nella parte superiore della navata della Basilica della Santissima Annunziata a Firenze, dipinti dall’Ulivelli.

 

Se visiterete questa misteriosa chiesetta avrete l’opportunità di vedere al suo interno una strana finestra murata. A cosa sarà mai servita?

La finestrella era una fessura dotata di un piano inclinato dove i Buonomini inserivano i pani che scivolavano direttamente nelle mani, sapete di chi...? Degli appestati! che così non rischiavano di attaccare il morbo ai membri della Compagnia e nel frattempo riuscivano a nutrirsi, perché in pochi si sarebbero avvicinati a quegli uomini ammalati offrendogli del cibo in mezzo alla pestilenza.

Sopra alla finestra viene riportata questa precisa scritta: Finestra A Tromba Per Distribuire Pane Anno Della Peste M.D. XXII.

 

 

 

Era stata costruita per la peste nera del 1522 che colpì gravemente non solo Firenze. Vi ricordate, infatti, di un certo capolavoro letterario che descrive una difficile storia d’amore proprio ambientata nel 1522 mentre imperversava la peste nera, nel nord Italia? Se non avete indovinato ve lo dirò io: sono i “Promessi Sposi” del Manzoni, dove l’autore descrive proprio la peste del 1522 che stava colpendo terribilmente i cittadini di Milano.

 

Altro particolare interessante è racchiuso nella facciata della chiesa alla vostra destra.

C’è una buchetta delle elemosine fatta costruire dalla Congregazione dei Buonomini ed è sormontata da una targa in marmo bianco che dice:

 

 OGNI VOLTA CHE UNO FA LIMOSINA AI POVERI

VERGOGNOSI DELL’OPERA DI S. MARTINO

ACQUISTA  ANNI  DUEMILAOTTO E ALTRETTA-

NTE QUARANTENE D’INDULGENZA CONCEDUTE

DA CINQUE SOMMI PONTEFICI COME CONSTA DAI

LORO BREVI ESISTENTI IN DETTA OPERA

 

 


 

 

E sotto alla feritoia si trova un’altra targa questa volta in pietra serena dove si legge:

 

LIMOSINE PER

LI POVERI VER-

GOGNOSI DI

S. MARTINO

 

La targa comunque non è l’originale, che è possibile osservare all’interno della chiesa, subito sulla destra appena entrati dal portone principale dell’edificio.

La prima targa ci fa capire l’importanza che gli stessi pontefici avevano riconosciuto al lavoro svolto dalla Compagnia, la quale si reggeva con uno statuto studiato a tavolino dallo stesso fra’ Antonino, che con poche ma chiare regole aveva mostrato la via da seguire.

 

I dodici membri scelti dal priore di San Marco erano tutti indistintamente chiamati “procuratori dei poveri”, una sorta di flessibilità democratica delle cariche, anche se si manifestava attraverso l’elezione obbligata di un capo, il “Proposto”, la riaffermazione di uno schema gerarchico, vincolo imprescindibile della struttura ecclesiastica cattolica. Ma fra’ Antonino limitò con ingegno il potere del Proposto, legando la carica alla durata temporale, che ridusse ad un solo mese. Ma la regola fondante della Congregazione dei Buonomini era l’impossibilità di capitalizzare il denaro derivato dalle offerte fatte dai fedeli. Anzi fra’ Antonino sottolineò sempre l’importanza di procedere più velocemente possibile alla redistribuzione delle donazioni.

Non solo papi ma anche altri importanti personaggi della storia fiorentina sostennero il lavoro svolto dai Dodici, come fra’ Girolamo Savonarola, che nel 1496 donò circa 3.000 fiorini d’oro sottratti dalla tassa pagata dal clero diocesano alla Repubblica Fiorentina. La stessa Repubblica decise, durante la caccia all’evasione fiscale, che chiunque avesse frodato il fisco, veniva svincolato da ogni obbligo se entro cinque anni avesse versata una somma adeguata alla Compagnia dei Dodici Buonomini. Questo dimostrava chiaramente la considerazione che aveva la Congregazione presso le autorità cittadine. Nel libro dei Capitoli e Indulgenze dove sono elencati tutti i nomi dei membri della Compagnia, possiamo leggere quello di Lorenzo Piero dei Medici e di Giulio dei Medici, futuro Papa Clemente VII. Inoltre nel Libro dei Debiti e Crediti della Congregazione, si trovano donazioni promesse dalla famiglia Medici dove si riportano queste parole:

 

Lorenzo e Giuliano de’ Medici deono dare, a dì 25 di marzo 1475 lb. milledugiento e quali ci fanno buoni per loro volontà pe’ poveri verghognosi della città di Firenze...

 

C’è un ultimo mistero da svelare!

Quando i Buonuomini si trovavano ad avere le casse vuote, si rivolgevano alla popolazione mediante un rituale anch’esso progettato nel rispettoso silenzio e segretezza nel completo rispetto degli insegnamenti  di fra’ Antonino. Ce ne dà perfetta descrizione sempre Piero Bargellini nel suo libro:

 

Per propiziarsi la Divina Provvidenza  con un segno esteriore di pietà, essi accendevano una candelina sulla porta d’ingresso dell’oratorio, in modo che tutti i passanti la potessero vedere.

< I Buonomini sono ridotti al lumicino! >

dicevano i fiorentini passando di lì, ed < essere ridotti al lumicino> diventò un modo di dire per indicare qualcuno che versava in estreme condizioni di bisogno, o addirittura si trovava alla fine delle sue risorse vitali.

 

 

Targa originale per le limosine

 

 

La Compagnia dei Buonomini è ancora esistente dopo più di mezzo secolo, anche se il lumicino l’ultima volta è stato acceso nel lontano 1949.

 

Come sempre vi auguro buona ricerca e tanto divertimento! Un saluto dalla città magica di Firenze, che in ogni angolo nasconde antiche storie che sono ancora d’insegnamento a tutti noi.

 

 

 

 

Autore: Gianni Mafucci