La Cassia Vetus : un viaggio attraverso il mistero delle antichissime pievi del Valdarno Superiore Stampa

La Cassia Vetus, conosciuta anche con il nome di Clodia, rappresentava una delle due vie consolari romane che attraversavano il Valdarno Superiore (l’altra era la Cassia Andrianea); la strada si inerpicava attraverso le colline alla destra dell’Arno e si pensa che fosse stata fatta costruire, seguendo approssimativamente l’antico tracciato etrusco, verso il II secolo a.C. da un Cassio censore (C.Cassius Longinus o L.Cassius Longinus Ravilla), come possiamo leggere nel manoscritto di epoca medioevale: De montibus porti set viis Urbis Romae.

Lo stesso Cicerone in un passo della XII, 22 Philippica, dice: < Tres viae sunt ad Mutinam...a supero mari Flaminia, ab infero Aurelia, media Cassia, Etruriam discriminant Cassia>; era, quindi, già esistente in età repubblicana una media Cassia, che faceva parte di quelle tre vie che da Roma arrivavano a Modena (l’Adriatica, l’Aurelia e la già citata Cassia di mezzo), inoltre le parole di Cicerone ci spiegano che: etruriam discriminum Cassia, cioè la Cassia Vetus divideva in due l’intera Etruria.

L’oggetto del nostro articolo non è in realtà la viabilità romana nel Valdarno Superiore, ma le vetuste costruzioni sacre che creavano quello che è stato chiamato: Il sistema delle Pievi.

 

La pieve di San Giustino in una splendida giornata di sole

Verso il IV sec. d.C., nel Valdarno ha inizio una cristianizzazione organizzata, vengono infatti  costruiti i primi edifici religiosi in aperto antagonismo con il panteon degli dei pagani, ancora molto venerato nelle campagne locali. Mediante la riforma voluta da Augusto nel 27 a.C., nei territori  etruschi tutte le lucumonie furono trasformate nei municipia della Tuscia.

 

Liletta Fornasari nel bellissimo libro “Antichi percorsi del Valdarno: dagli Etruschi alla strada ferrata” descrive perfettamente le molteplici trasformazioni che portarono le Pievi a coincidere con gli antichi tracciati romani:

 

<Alla civitas  corrispose la diocesi e alla città la parrocchia urbana. Nel territorio dei pagi rurali furono edificate le pievi, mentre nei singoli vici sorsero piccole ecclesie o cenacoli, la cui esistenza è documentata già nel III secolo d.C. Sebbene non sia possibile dimostrar, da un lato, una stretta corrispondenza tra il distretto amministrativo romano e il plebato medioevale, e dall’altro la continuità assoluta tra il pagus e il distretto plebano, è però certo che la pieve ereditò molte funzioni del pagus romano. La costruzione di una chiesa rurale avveniva solo dopo che l’evangelizzazione aveva avuto successo in un punto importante del pagus. Si creava un luogo di culto stabile, servito prima da sacerdoti inviati dal vescovo, e solo in un secondo momento dotato di un clero permanente.

In origine edifici sacri di tale genere si chiamavano ecclesie, e prima del VII secolo furono nominati baptisteria . Solo alla fine del VIII secolo furono denominati plebes. In Valdarno le pievi sorsero su insediamenti romani attestati da reperti archeologici secondo precisi allineamenti che corrispondono ai tracciati delle vie consolari. In molti casi le pievi “matrici” di epoca paleocristiana sorsero sul luogo dove in precedenza era il centro del pagus “a tempore imperatorum romanorum”. Le pievi rurali sorsero quindi lungo le arterie di comunicazione in rapporto con i preesistenti distretti statali, antiche istituzioni che avevano il compito di tenere in efficienza strade e ponti.

 

Sentiero per la Cassia Vetus

 

Le pievi che si trovano nel tracciato valdarnese alla destra dell’Arno, seguono, quindi, una linea congiunta con l’antica Cassia Vetus e si trovano a San Giustino, Gropina, Pian di Scò, Cascia, Pitiana e San Gervaso.

 

1      La pieve di San Giustino a Cabiano:

 

La pieve di San Giustino, si trova proprio al centro del paese e ne rappresenta il fulcro, il centro propulsore da cui si è sviluppato l’antico borgo medioevale, che circonda l’edificio sacro in un abbraccio materno…il Repetti fine osservatore racconta nel suo famoso “Dizionario geografico, fisico, storico della Toscana”:

 

Risiede sul fianco meridionale dell’Alpe della Trinità continuazione del Pratomagno, lungo il torrente Agna e sopra la strada provinciale detta Urbinese che passa da Loro Ciuffenna per il Borro e Castiglion Fibocchi, quindi cavalca l’Arno sopra il Ponte a Buriano e guida ad Arezzo.

Anticamente questo popolo portava il nome di San Giustino a Cabiano, poi al Borro.

 

Il paese è ricco di olivi e vigneti, da sempre compagni inseparabili del paesaggio pedemontano del Valdarno Superiore.

 

 

Ulivi a San Giustino

 

La zona che circonda San Giustino e la sua pieve, viene unanimemente riconosciuta come interessante sito archeologico; infatti sono stati rinvenuti nella zona alcuni importanti basamenti di edifici romani (Baccano,Vinca; zona Tesoro) oltre a tronconi dell’antica Cassia Vetus, che si trovano nei campi a sud-ovest e a nord-ovest del paese.

 

Il Repetti ci informa anche delle prime notizie trovate sulla Pieve, in un documento del 1011, carta aretina, che riporta un dato importante, l’antico nome dell’abitato: “Cabiamus”. La toponomastica (vedi suffisso in us) ci fa supporre con relativa sicurezza che questa fosse l’originaria denominazione del villaggio romano, quel nome che si ritrova nella carta del 1011 è preceduto da quello della pieve di San Giustino, monumento fondante del nuovo insediamento cristiano (San Giustini a Cabiamus).

In una splendida monografia scritta da Alfio Scarini (correlata a bellissime foto, eseguite da Bruno Tavanti), che ha come titolo “Pievi romaniche del Valdarno Superiore”, si trovano altre notizie storiche riguardanti la pieve:

 

Le notizie storiche più antiche risalgono all’anno 1011 in cui si dice che questo popolo portava la denominazione di S.Giustino a Cabiano. Proprio in questo luogo sorse la prima chiesa cristiana e qui affiorarono resti di una strada romana e ruderi con tracce di mosaico. Questa primitiva costruzione aveva nella propria giurisdizione, come attesta una carta del 1036, oltre a Cerreta anche il Borro. Il prof. Mario Salmi asserisce che la vicenda di questa terra è legata a quella della << terra Barbaritana>> quando sulle pendici del Pratomagno, del Catenaria e nella pianura della Chiassa e dell’Arno si stanziarono prima i Goti e poi i Longobardi. Questi Longobardi, chiamati i della<<Poia>> cedettero nel 1073 un ampio territorio  del plebanato di San Giustino all’abate di Santa Flora e Lucilla presso l’Olmo di Arezzo.

 

 

Piazza di San Giustino

 

 

Quante volte entrando in queste vetuste costruzioni vi sarete domandati quanti e soprattutto quali personaggi storici avevano prima di voi calpestato quel pavimento dove adesso state posando i vostri piedi. La maggior parte delle volte (specialmente se vi trovate in una sperduta pieve di campagna) la vostra domanda rimarrebbe senza una risposta, ma questo oggi non rappresenta il vostro caso, perché attenti storici del territorio spulciando antichissimi documenti hanno trovato un nome di un personaggio importantissimo della storia medioevale toscana, quello del Vescovo di Arezzo: Guglielmino degli Umbertini. Il Repetti riporta:

 

Nella chiesa della pieve di S.Giustino il 17 agosto del 1273, si trovava il vescovo Guglielmino di Arezzo, davanti al quale reclamarono i sindaci dei monasteri di Santa Flora di Arezzo, di Capolona, del Sasso e dell’Alpe di S. Trinita, monasteri tutti della diocesi aretina a cagione di una colletta.

 

Anche lo Scarini riporta l’avvenimento:

 

Ma nell’anno 1273 il giorno 17 agosto sappiamo che il vescovo di Arezzo si trovava  nella chiesa di San Giustino per una solenne udienza. Il vescovo Guglielmino Ubertini ascoltò i rappresentanti dei monasteri di Sante Flora e Lucilla dell’Olmo, di Capolona, del Sasso, della Badia di Santa Trinita in Alpe che si lamentavano con lui a causa di una raccolta di denaro.

 

Il vescovo Ubertini apparteneva ad una delle più antiche famiglie della Toscana, che possedeva molti terreni e castelli nel Valdarno e nel Casentino. Resse la diocesi di Arezzo dal 1248 al 1289, non trascurando né l’attività pastorale (visitò tutte le chiese della sua diocesi tra cui quella documentata alla Pieve di San Giustino, si occupò inoltre di sviluppare l’Ospedale di Santa Maria del Ponte, approvò la fondazione della Fraternità dei Laici ecc.) né quella militare, nella quale agì con assoluta fermezza e sprezzo del pericolo, fino alla morte avvenuta, combattendo impavidamente, non a caso, su di un campo di battaglia, quello di Campaldino (scontro decisivo tra guelfi e ghibellini toscani).

Un passo del libro di Giorgio Batini, “Capitani di Toscana”, ci spiega bene il temperamento del Vescovo di Arezzo.:

 

La battaglia fu molto aspra e dura, e tra quelli degli aretini che si comportarono con temerario coraggio ci fu proprio il Vescovo Guglielmino degli Ubertini, guerriero valoroso, al quale “non mancarono certi sproni ardenti - nota l’Ammirato- che lo pugnessero a portarsi egregiamente, trattandosi dello Stato, della reputazione e della vita di ciascuno. E veramente non si combattè mai con eguale speranza e pericolo né che meno si convenisse far beffe del nemico”.

Gugliemino degli Ubertini avrebbe fatto a tempo a trovar scampo nella fuga, facendosi proteggere dai sui più fidati cavalieri e ritirandosi a spron battuto verso Bibbiena e Arezzo. “Non fece così il vescovo, il quale rincorando i suoi, e facendo per tutto ufficio di capitano e di soldato, né volendo - poiché vide tagliare a pezzi le sue genti- sopravvivere a tanta rovina, si cacciò nel mezzo dell’ardor della battaglia e ivi valorosamente combattendo restò ucciso”.

 

 


 

 

Lasciamo da parte il vescovo Guglielmino degli Ubertini e le sue gesta e riprendiamo la visita all’antica pieve di San Giustino.

L'odierna pieve fu elevata alla dignità di Arcipretura ad opera di Don Burali, il quale, secondo l'uso del tempo, la volle arricchire con stucchi e rifiniture barocche. La chiesa è stata riportata negli anni '60 alla sua originale bellezza per iniziativa del parrocco Don Valente Moretti in collaborazione con il Prof. Salmi. La facciata che non presentava nessun elemento decorativo è stata totalmente intonacata, mentre sulla destra si appoggia la canonica che presenta un entrata con arco a sesto acuto, di pietra arenaria, di stile gotico.

 

 

Navata centrale della Pieve di San Giustino

 

 

L’interno della pieve si presenta a tre navate, spartite da arcate a tutto sesto impostate su otto pilastri quadrangolari in pietra arenaria; in corrispondenza dell’ultima campata sono impiegate due colonne con capitelli essenziali e semplici che presentano motivi a foglie di acanto e piccole teste di animali.

Queste imponenti colonne quadrangolari, sempre in pietra arenaria, sostengono i numerosi archi a sesto acuto presenti all’interno dell’edificio sacro.

 

 

Capitello all'interno della pieve

 

 

Il capitello della colonna destra del presbiterio è scolpito con doppio giro di foglie o palme con quattro teste di animali ai corrispettivi angoli; quello di sinistra è scolpito con doppio giro di foglie di acanto e agli angoli sono presenti delle spirali.

 

 

 
 


 

 

L’abside, elemento romanico dominante dell’edificio, rappresenta la parte finale della navata centrale, molto più ampia delle navate laterali.

 

 

Abside della Pieve di San Giustino

 

L’abside, composta da grosse pietre di arenaria, è priva al suo interno di colonne, è presente invece una piccola finestrella allungata, da dove filtra una flebile luce che crea un atmosfera magica, attraversando, in un gioco di luci ed ombre, le possenti colonne quadrangolari di questa antichissima pieve.

 

 

Esterno dell'abside

 

 

Questa zona rappresenta un’ottima opportunità di alloggiare a prezzi accessibili a tutti, in luoghi mozzafiato e di incontrare trattorie locali dove è possibile consumare prodotti esclusivi del territorio, una buona base di partenza per poter, in un secondo momento, visitare le città d’arte della Toscana, vista la vicinanza con il casello autostradale di Montevarchi-Terranuova, che in poco meno di 20 minuti permette di arrivare a Firenze, o attraverso la statale arrivare a Siena in 30 minuti.

C’è anche la possibilità di raggiungere Arezzo (una delle più importanti città etrusche), in poco più di 10 minuti.

 

 


 

 

Quindi, cari viaggiatori che volete visitare la Toscana, non scordatevi di passare da questi luoghi, essi racchiudono bellezze storiche ancora per molti sconosciute, fortunatamente per voi! Pertanto li potrete scoprire con tutta la tranquillità necessaria, accompagnati da paesaggi incontaminati, arricchiti da antichi monumenti e da prelibati piatti della cucina tradizionale valdarnese, fondamentale ricetta per fare del vostro viaggio un bellissimo ricordo.

 

Non perdetevi assolutamente il prossimo articolo che si occuperà della storia affascinante della Pieve di Gropina, uno degli edifici sacri più misteriosi e magici d’Italia, riconosciuto dal governo italiano come monumento nazionale.

I monumenti nazionali sono d'interesse artistico o storico o etnoantropologico e ritenuti fondamentali per l'identità della nazione in quanto importante traccia di documentazione storica.

 

 

 

Autore: Gianni Mafucci