Le buchette del vino Stampa

Come sempre la Firenze di un tempo ci regala  segreti curiosi, intriganti, difficili da interpretare.

In realtà la chiave di lettura per queste misteriose sorprese si trova sempre nella storia intima della città. La storia fatta dalla gente, le loro abitudini, le loro passioni, le loro credenze ecc.

Oggi vi svelerò il mistero di antichi tabernacoli dedicati ad un prodotto molto importante della cultura e dell’economia della Città.

Se siete stati a Firenze, molto probabilmente girovagando nelle stradine del centro vi sarà capitato di vedere delle “buchette” (piccole aperture), poste nella facciate dei palazzi nobiliari, all’altezza dei fondachi, situati al piano terra.

 

Buchetta a Palazzo Strozzi

Queste buchette seguivano uno stile pressoché identico, cioè a porticina con archetto superiore, molto spesso decorato da una cornice con punta a goccia, in stile bugnato o liscio in pietra e chiusa da un sportello in legno. La sua altezza era di circa 40 cm.

A cosa saranno servite mai queste strane aperture? Non avete ancora indovinato? Sono i cosiddetti “Tabernacoli del vino”, disposti in moltissimi palazzi nobiliari del centro, felice intuizione delle famiglie fiorentine che si erano tramutate nel corso del ‘500 da abili mercanti in altrettanto abili proprietari terrieri.

Alla fine del ‘400, infatti, la grande mercature delle stoffe e dei panni di lino, motore trainante dell’economia fiorentina medioevale e rinascimentale, comincia ad incontrare la forte concorrenza dei paesi del nord, soprattutto l’Inghilterra.

Gli scaltri banchieri e mercanti fiorentini reinvestirono i loro capitali mobili in immobili e terreni, rendendo i loro investimenti più sicuri.

Quindi i nuovi proprietari terrieri investirono sui prodotti alimentari caratteristici della zona ed in particolare investirono sul “nettare degli dei”, il vino.

 

 

Affresco

 

 

Le buchette nascono proprio in relazione a questo mutamento economico e al forte investimento nella produzione vinicola. Questo sistema infatti permetteva ai produttori vinicoli di poter vendere attraverso queste aperture al minuto le fiaschette di vino (toscanelli, prodotti a soffio e rivestiti poi con erbe palustri come la “sala” e il “rascello”) per strada, senza ricorrere ad altri intermediari, come per esempio le osterie.

Le buchette erano poste al piano terreno in speculare corrispondenza alla cantina interna, consentendo un'attività simile a quella delle "celle" ossia delle botteghe dove si esercitava il commercio del vino, dove un addetto curava la vendita delle bottiglie del vino in determinate ore del giorno. Infatti la vendita del vino era soggetta ad un regolamento ferreo, come riportato da  Lidia Casini Brogelli nel suo interessante libro intitolato “Le buchette del vino a Firenze”.

 

Nelle celle i Vinattieri dovevano mescere il vino ai clienti in bicchieri o recipienti di capacità controllata e non era loro consentito vendere certi tipi di pane salato che stimolasse la sete; al suono delle campane della sera (alla terza) gli esercizi e le celle dovevano sospendere il commercio.

 

 

 

Il Villani, attento storico fiorentino, annotava nella sua “Storia di Firenze” la quantità di vino che nel ‘300 era entrata a Firenze: Il vino entrato a Firenze era di circa 55/60.000 cogne (equivalente a 450 litri), e circa 90 vinattieri lo rivendevano esercitando mescita al minuto in celle e fondachi raggruppati specialmente in Oltrarno e presso il Duomo.

Nel 1569 secondo la relazione del commissario fiorentino Giovan Battista Tedaldi, il territorio produceva circa 215.000 barili vino l’anno, equivalenti a 85.000 ettolitri, dei quali il 30% veniva regolarmente esportato a Prato e Firenze.

Un fiume di vino inondava le città toscane, alimentando una letteratura popolare gioiosa e ironica, come proverbi, liriche, poesie ecc.

Vi accennerò velocemente ad alcune di queste divertenti realizzazioni artistiche.

 

I’ beo d’un vino a pasto che par colla

E tien di muffa e sa di riscaldato

E parmi con assentio temperato (riscaldato),

con fiele e rabbia e sugo di cipolla.

Drento vi metto el pane e non s’inmolla

E sta dall’acqua tutto separato

E nel bicchier istà ch’è non si crolla.

E dopo questo i’ beo d’uno sì tristo,

non sarè sufficiente a lavar tigna

et è per certo un fine cacciacristo (acido non adatto neanche alla funzione religiosa);

staccio non passerebbe né stamigna (panno),

tanto è morchioso e colla feccia misto:

sciroppo (purga) mi par ber, ma non di vigna.

E chi non bee non ghigna,

ch’egli è ciprigno (aspro), cerboneca (vino guasto) fina:

chiudendo gli occhi par medicina.

 

 

Buchetta del vino a Badia Fiorentina

 

 

 

Ovviamente il nostro poeta di scuola burchiellesca doveva aver comprato un vino, diciamo, “poco bòno”, ma abbiamo anche esempi letterari più profondi e filosofici sull’importanza del vino, dove Bacco, dio dell’ebbrezza gioiosa e l’eternamente giovane Arianna, da lui resa immortale, con un corteo danzante di satiri e di ninfette, rappresentano il trionfo dell’amore e della giovinezza.

 

Quant’è bella giovinezza, che si fugge tuttavia

chi vuol esser lieto, sia,

di doman non c’è certezza.

Quest’è Bacco e Arianna, belli e l’un dell’altro ardenti:

perché il tempo fugge e inganna,

sempre insieme stan contenti.

Queste ninfe e altre genti

son allegre tuttavia.

Chi vuol esser lieto, sia, di doman non c’è certezza.

 

Gino Tellini nel suo capitolo Tra viti e vini nella letteratura toscana (Storia della vite e del vino in Italia: Toscana) fa un’analisi interessante sul sonetto di Lorenzo il Magnifico, sopra riportato.

 

L’uomo di governo e poeta, miscelando classico rigore compositivo e ballabilità popolare, innesta sul tema topico del carpe diem un velo d’inquietudine e di riflessione etica per la fuga del tempo e la caducità della bellezza, ma anzitutto dispiega un inno al piacere di vivere e dà voce all’ansia di partecipazione corale e collettiva di un’intera società felice di immergersi in un’ebbra, sensuale, esaltante smemoratezza, per cancellare una realtà turbolenta di fatica e di dolore (vv.56-57: << arda di dolcezza il core,/ non fatica ne dolore).

 

 

Buchetta a Santa Croce

 

 

Tutto questo per capire l’importanza di questo prezioso liquido nella cultura Toscana e per comprendere come mai solo nella città di Firenze potrete trovare queste misteriose buchette, questi incomprensibili tabernacoli.

Adesso scopriamo l’ubicazione di alcune tra le più interessanti, partendo da quelle che si trovano più facilmente proprio nel cuore della città.

 

La prima che vi voglio far conoscere è quella situata nel palazzo detto dello Strozzino, che si trova in Piazza degli Strozzi al numero 1, edificio costruito all’inizio del 1420 dall’architetto Michelozzo su commissione di Palla Strozzi, ingegnoso mercante e fine umanista, con possibilità monetarie enormi.

La buchetta  presenta una interessante cornice in pietra bugnata e la sua eccessiva vicinanza al terreno ci fa supporre che fosse addirittura più antica dello stesso palazzo ricostruito da Michelozzo.

 

 

Buchetta a Palazzo Strozzi

 

 

 

Altre due le troviamo in via Dante, nella stretta via che racchiude da una parte la falsa casa di Dante, ricostruita nel ‘900, accanto alla torre della famiglia dei Giuochi.

In realtà la vera casa di Dante si pensa sia situata nella piazzetta di San Martino, dove adesso si trova il ristorante Pennello; secondo il Bargellini Dante nacque nella casa contrassegnata da un tondo che raffigura il pittore Mariotto Albertinelli, tondo che è visibile guardando in alto sopra l’insegna del ristorante, che tra l’altro fiancheggia la bellissima Torre della Castagna, prima sede dei priori di Firenze dal 1282 fino alla realizzazione del Bargello. Nella torre vi è una targa in marmo che ricorda il perché dell’utilizzo della Torre da parte dei Priori: «E chiamoronsi Priori dell'Arti: e stettono rinchiusi nella torre della Castagna appresso alla Badia, acciò non temessono le minacce de' potenti».

 

 

Torre della Castagna
La vera casa di Dante

 

 

Le nostre due buchette del vino si trovano sulla parete di fronte all’entrata laterale della Badia Fiorentina, nelle antiche mura che formavano i palazzi della famiglia dei Giuochi, i vicini di Dante!!!.

 

Uno dei tabernacoli più interessanti da vedere si trova in Borgo Pinti n. 27, nell’atrio visitabile dell’Hotel Monna Lisa. E’ possibile vederlo senza problema alcuno perché non dovete entrare proprio dentro l’hotel. Andate a vederlo, perché è l’unico visitabile all’interno ed è meraviglioso sia per la sua fattura sia perché rappresenta una rara opportunità di comprendere la sua funzionalità originaria. Il palazzo in passato faceva parte delle proprietà dei Lenzi, un antica e potente famiglia fiorentina che dette ben venti priori e due Gonfalonieri alla repubblica fiorentina e il loro stemma in pietra è ancora visibile sulla facciata del Hotel Monna Lisa e rappresenta una testa di toro.

 

Buchetta del vino Hotel Monna Lisa

 

Altro Tabernacolo del vino molto importante da vedere è quello situato in Via delle Belle Donne, al n 2 di Palazzo Viviani.

Lidia Casini Brogelli (Le buchette del vino a Firenze) ci racconta in modo magistrale che importanza ha avuto da sempre questa via:

E’ piacevole, divertente e commovente mettere insieme questi appunti , quando incontriamo un angolo così. In questo punto, secondo molti storici e in particolare Mario Lopez Pegna, fu Giulio Cesare che stabilì L’umbelicus coloniae, cioè il punto cardine dell’agro fiorentino: vale a dire che più di duemila anni or sono, fu stabilito che qui fosse l’incontro fra la città e il suo territorio.

Appare chiaro, da questo scorcio di visuale, che le cose, con tutte le infinite rivoluzioni succedutesi nel tempo, si sono mantenute come erano state previste. La stessa luce del sole mattutino ci indica che al di là di questa strettoia, si estendeva la città con la sua vita ed il suo palazzo più elegante. La piazzetta che dà inizio a via della Spada, l’antico Decumanus Maximus è delimitata a sinistra dal palazzo Viviani della Robbia che contiene la buchetta di cui si parla.

 

 

Buchetta di Via delle Belle Donne

 

 

Questa suggestiva descrizione di via della Belle Donne è l’esempio lampante della bellezza storica della città di Firenze, dove uno sguardo attento può catturare immutati scorci antichissimi, segni millenari di ingegnosa grandezza e di infinita bellezza.

Quando siete a Firenze non abbiate fretta di rinchiudervi in qualche museo, perché il vero museo, ancora per poco è proprio l’antica città con i suoi misteriosi segreti tutti da scoprire .

Non vi tedierò oltre con la descrizione di altre buchette, che sono sparse in tutto il centro di Firenze e, adesso che sapete della loro esistenza, vi divertirete a scoprirne molte altre, io mi limiterò a mostrarvele in questa galleria di foto, fatte da me, da Marco Valentini e da Elisa Chicchi, sempre disponibili a seguire tutte le mie fantasiose ricerche.

 

 

Come sempre vi auguro una fruttuosa ricerca ma soprattutto una vacanza rilassante e divertente nella mia amata terra.

 

 

I BRINDISI (1840 anonimo)

Qui di lieto color brilli la guancia,

sia franco il labbro e libero il pensiero:

no tra gli amici contrappeso al vero

non fa la pancia.

O beato colui che si ricrea

col fiasco paesano e col galletto!

Senza debiti andrà nel cataletto,

senza livrea.

 

 

Buchetta a Arco di San Pierino

 

 

Autore: Gianni Mafucci